le mie foto sono piatte, piane, appiattite, bidimensionali. sono mosse, sfuocate, stralunate, come colpite da un battito e portate via con me. sono foto di riflesso, immediate, intraviste, a volte davvero riflesse. sono scattate attraversando situazioni e superfici, altre sono solamente scritte, altre ancora mancate. e poi ci sono i pali, e la gente che lavora o semplicemente sta lì, e io. assolutamente a colori. per ora.

martedì 26 aprile 2011


quando ho fatto questa foto stavo seguendo, per la prima volta nella mia vita, un corso di tecnica fotografica (rimasto per ora l'unico) presso lo spazio forma a milano.

il docente emilio/emiliano resmini è come molti fotografi (maschi?) brusco, deciso, a volte crudo nei giudizi e nelle provocazioni. sa il fatto suo, ti mette di fronte alle immagini e ti dice di scegliere quali ti piacciono, e ti chiede perché, e cosa non va, e cosa funziona, e qual è il soggetto.

un giorno si guardano alcune mie foto e a un certo punto resmini dice: "fai delle foto belle e poi mi metti le papere?". aveva ragione lui. cosa c'entravo io con le papere?

in quel corso ho imparato delle cose, ma soprattutto ho smesso di cercare di imparare a fare panorami, o macro, o papere, e ho iniziato a scattare foto più mie.

ma quali sono queste foto mie? di cosa sanno? cosa raccontano? e perché? e soprattutto gliene frega a qualcuno?

e io che pensavo che il corso mi avrebbe insegnato a fare delle belle foto di panorami: più che altro ho imparato a farmi delle domande.

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