le mie foto sono piatte, piane, appiattite, bidimensionali. sono mosse, sfuocate, stralunate, come colpite da un battito e portate via con me. sono foto di riflesso, immediate, intraviste, a volte davvero riflesse. sono scattate attraversando situazioni e superfici, altre sono solamente scritte, altre ancora mancate. e poi ci sono i pali, e la gente che lavora o semplicemente sta lì, e io. assolutamente a colori. per ora.

sabato 30 aprile 2011

nel gennaio scorso ho postato questo scatto su spc the street photography community, all'epoca era accompagnato da un titolo, ora tutte le mie foto si chiamano dove e quando.

mi è parso più giusto: scegliere di non mettere il titolo è scegliere di "fidarsi e affidarsi" dello/allo scatto e della/alla sua capacità di raccontare qualcosa, al di là delle parole, scegliere di non condizionare chi guarda e lasciare libera l'immagine di raccontarsi e farsi leggere.

ne approfitto per ringraziare alex, roberto, luca, il banano, f/0.95, paolo, marco, edit, ccatullo, photoshock, rumblebeat e tutti gli altri di spc per l'occasione di confronto e crescita

venerdì 29 aprile 2011

milano, 13 marzo 2011, 13:40 by photocorti
milano, 13 marzo 2011, 13:40, a photo by photocorti on Flickr. 
Dies irae, dies illa, dies tribulationis et angustiae, dies calamitatis et miseriae, dies tenebrarum et caliginis, dies nebulae et turbinis, dies tubae et clangoris super civitates munitas et super angulos excelsos
spazio forma ospita, fino al 15 maggio 2011, dies irae di paolo pellegrin. antologica di uno dei più importanti fotografi d'italia e non solo.

prima di andare non so molto di lui, so che è nato a roma nel 1964, che entra in magnum nel 1999, diventandone membro effettivo nel 2005, che ovunque ci siano tragedie e povertà e orrori lui è lì a testimoniarle.

mi guardo qualche scatto sul web e di pelle sento che mi innervosiscono, mi fanno dire eccolo l'occidentale che cerca gli orrori, i dolori, le fatiche, le disperazioni per farne mera ricerca estetica.

decido di andarci comunque. di sfidare la rabbia che probabilmente sentirò. e infatti bastano pochi scatti, foto troppo storte, vignettate, sgranate, mosso e sfuocato, di moda, composizioni che paiono studiate a tavolino, come itinerari del grand tour, pittoreschi, molto pittoreschi. e chissenefrega se la gente muore, se la gente soffre.

poi un video e il giudizio cambia. in lebanon ritrovo alcuni degli scatti in mostra, ma qui paiono meno "pastrugnati", la grana meno d'effetto, più diretti e dolorosi, sempre ricercati e compositivamente perfetti, ma improvvisamente oltre la rabbia ecco il dolore, e il dolore è testimoniato con partecipazione, empatia, rispetto.

la mente non ha più niente da dire, può solo osservare gli scatti, sentirli, ed esserne a sua volta testimone.

e arriva anche il dubbio che quella ricercatezza formale, estetica altro non sia che una scappatoia per continuare ad attraversare l'assurdo che scorre davanti agli occhi e continuare a scattare, e non bloccarsi e non scappare via.

forse, non so.... io comunque alla fine ho sentito la necessità di uno scatto che rimettesse un po' di ordine nelle mie emozioni, formale, equilibrato, mi serviva e quel divisorio nero in mezzo me lo ha regalato




sono tutto fuorché un fotografo d'assalto. sono un fotografo dei tempi lunghi, mi interessa la dimensione umanistica di quello che faccio, il racconto dell'uomo, e questo richiede un rapporto, anche dilatato, con i soggetti, i luoghi.
io come fotografo mi ritengo la scintilla, l'incrocio di cose che hanno creato delle immagini che poi hanno vita propria e quasi non mi appartengono più.

non ragiono in termini di singole immagini, ciò che mi interessa è un corpus di lavoro, come per esempio quello sulla palestina: lì c'è la guerra in libano nel 2006, ci sono le varie incursioni israeliane in cisgiordania o a gaza. la mia idea è di una fotografia che si compone di singoli momenti che formano un insieme, un organismo che racconta la Storia. noi abbiamo il grande privilegio e la responsabilità di essere dei testimoni.
se decidi di assumerti il ruolo di testimone, esporsi è una condizione sine qua non, fa parte dell’equazione, complessa per altro, dello stare in certi posti. e starci vuol dire anche muoversi e riuscire a navigare e sopravvivere.

giovedì 28 aprile 2011



mai buttare via una foto, mettila da parte, su un hard disk e dimenticatela, e poi tra un po' chissà...a volte le foto che facciamo sono più avanti di noi.

me lo ha detto il resmini, un sabato, durante un'uscita del corso: mi ha beccata che stavo scorrendo sul visore alcuni scatti e che ne buttavo via alcuni. poi ha aggiunto che devo guardare meno il visore, fidarmi di più.

ripensando ad alcune mie foto, scattate d'istinto, casuali, forse fortunate, mi vien da dire che, beh, forse ha ragione.

e io che pensavo che mi avrebbe insegnato, soprattutto, a impostare per bene la macchina...

p.s.
il secondo scatto, forse, non ci sarebbe stato se non avessi fatto, mentre guidavo su una strada ungherese, per caso e quasi per gioco, il primo.

mercoledì 27 aprile 2011


paul strand scrive
la tua fotografia è, per chi sa veramente vederla, una registrazione della tua vita. tu puoi vedere i modi di altre persone ed esserne influenzato, puoi persino servirtente per trovare il tuo, ma col tempo dovrai liberartene. questo intendeva nietzsche quando diceva: "ho letto schopenhauer, adesso devo sbarazzarmi di lui". sapeva infatti come possono essere insidiosi i modi di altre persone, soprattutto quelli che hanno la forza di un'esperienza profonda, se tu lasci che s'intromettano fra te e la tua visione
da quando ho deciso di mostrare i miei scatti in pubblico tengo sempre presente questa frase, mi supporta nella lettura di consigli e giudizi e sul modo in cui questi consigli e giudizi si riverberano su di me e sul mio modo di scattare.

martedì 26 aprile 2011


quando ho fatto questa foto stavo seguendo, per la prima volta nella mia vita, un corso di tecnica fotografica (rimasto per ora l'unico) presso lo spazio forma a milano.

il docente emilio/emiliano resmini è come molti fotografi (maschi?) brusco, deciso, a volte crudo nei giudizi e nelle provocazioni. sa il fatto suo, ti mette di fronte alle immagini e ti dice di scegliere quali ti piacciono, e ti chiede perché, e cosa non va, e cosa funziona, e qual è il soggetto.

un giorno si guardano alcune mie foto e a un certo punto resmini dice: "fai delle foto belle e poi mi metti le papere?". aveva ragione lui. cosa c'entravo io con le papere?

in quel corso ho imparato delle cose, ma soprattutto ho smesso di cercare di imparare a fare panorami, o macro, o papere, e ho iniziato a scattare foto più mie.

ma quali sono queste foto mie? di cosa sanno? cosa raccontano? e perché? e soprattutto gliene frega a qualcuno?

e io che pensavo che il corso mi avrebbe insegnato a fare delle belle foto di panorami: più che altro ho imparato a farmi delle domande.

lunedì 25 aprile 2011


lo scatto originale da cui sono partita per "creare" l'immagine dell'intestazione, prima cioè del "scala in base al contenuto", nuova, perlomeno per me, strabiliante applicazione contenuta in photoshop CS4 (ma siamo ormai al CS5 e a chissà quali altre fantasmagorie).

sontag, a p. 4 del già citato sulla fotografia, scrive: 
ciò che si scrive su una persona o un evento è chiaramente un'interpretazione, come lo sono i rendiconti visivi fatti a mano, quali la pittura e il disegno. le immagini fotografate invece non sembrano tanto rendiconti del mondo, ma pezzi di esso, miniature di realtà che chiunque può produrre o acquisire.
le fotografie, che alterano le proporzioni del mondo, vengono a loro volta ridotte, ingrandite, tagliate, ritoccate, alterate, truccate.
e a p. 5 aggiunge:
le fotografia forniscono testimonianze. una cosa di cui abbiamo sentito parlare, ma di cui dubitiamo, ci sembra provata quando ce ne mostrano una fotografia. (...). una fotografia è considerata dimostrazione incontestabile che una data cosa è effettivamente accaduta. può deformare, ma si presume sempre che esista, o sia esistito, qualcosa che assomiglia a ciò che si vede nella foto.
tornando allo scatto, la signora in giallo c'era, il muro, si lungo e vuoto davanti a lei, no. per la trasformazione, senza alcuna abilità particolare e un portatile per nulla potente, mi sono occorsi poco più di 10 secondi. l'applicazione ovviamente funziona anche con scatti più complessi, provare per credere.

domenica 24 aprile 2011

milano, 18 dicembre 2010, 12:26 by photocorti

musei, mostre, gallerie, ci si va per vedere l'arte, quella appesa alle pareti, o installata al centro delle stanze, si impara a osservare cose strane, cumuli di sale, pollini, stracci, pezzi di vetro, legnetti sparsi, e a volte accade di non sapere se sia l'arte oppure un estintore, ma all'uscita come per magia se ne sa un po' di più sulla geometria.